Ieri dopo pranzo, preso da un’improvvisa voglia di fare fotografie, sono uscito di casa in direzione Bahnhof Zoo. Sapevo che solitamente li c’è qualcosa da fotografare. Questo luogo di Berlino fu reso noto a livello internazionale, nei passati anni ottanta, da Christiane F. col suo libro: “Wir Kinder Von Bahnhof Zoo” (Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino), da cui fu tratto anche un film. È uno dei luoghi più sudici della città. Pieno di turisti che vanno e vengono, barboni, tossicodipendenti e chi più ne ha più ne metta. Inoltre oggi, dopo la riunificazione è molto meno il centro della vita della città per cui ha in più l’aria di una periferia che necessita di essere rimessa a nuovo. Insomma un luogo, la stazione dello Zoo di Berlino, potenzialmente interessante per un fotografo. Arrivato li noto una persona sdraiata per terra in una luce interessante. Una di quelle posizioni che per dormire semplicemente non hanno senso perché ci si risveglierebbe con la schiena e il collo a pezzi. Senza nemmeno rifletterci su, la scena esercitava un potere magico su di me, mi accingo a scattare una fotografia. Appena porto la macchina fotografica all’occhio un passante mi rimbrotta chiedendomi se avevo chiesto l’autorizzazione. Io continuo impassibile, faccio un passo indietro perché troppo vicino, cerco di mettere a fuoco sulla faccia e intanto sento che il passante ripete la sua domanda. Impassibilmente scatto e noto che con la coda dell’occhio un’altra passante scuote la testa per esprimere contrarietà al mio gesto. Ando Gilardi diceva che non bisogna fare queste fotografie: io non sono mai stato d’accordo semplicemente perché in genere chi si sente scandalizzato per una fotografia, (o dal gesto fotografico) non fa nulla per migliorare la condizione del fotografato il quale, molte volte (e lo dico a ragion veduta), rifiuterebbe l’aiuto. Quello che sfugge a molti è che la metropoli non necessita dei sotterfugi di paese per cui molte persone non hanno nessun problema a lasciarsi fotografare. Per esperienza dico che c’è il 50% di possibilità che la persona potesse essere d’accordo con me ma è chiaro che non potevo chiederglielo distruggendo la scena. C’è insomma, qualcosa di moraleggiante, nel rimbrotto, che porta fuori strada. Ma d’altra parte il mondo è pieno di gente che non fa nulla e si sente in diritto di giudicare senza sapere ne pensare.
Pubblicato da Luca Vecoli
Da sempre i miei interessi riguardano la filosofia, la fotografia e la musica. Mi sono laurato a Pisa nel 1998 discutendo una tesi di estetica dal titolo: "L'estetica di John Dewey come filosofia dell'esperienza". Mi occupo professionalmente di fotografia da molti anni, con numerose pubblicazioni e mostre sia in Germania che in Italia. Considero la fotografia un campo di riflessione culturale e filosofica e non solo un modo per produrre immagini. Parlando di musica mi piace il Jazz, che sono tornato a coltivare di recente con rinnovato interesse. Vivo e lavoro a Berlino. L'autorevolezza di quello che scrivo in queste mie riflessioni deriva direttamente dal non averne alcuna. Mostra tutti gli articoli di Luca Vecoli