“Se l’uomo risponde correttamente, gli apparecchi perdono ogni magico fulgore e obbediscono alla sua mano. E’ importante che lo si sappia.” Ernst Juenger, Trattato del Ribelle, pp. 84, Adelphi.
1) L’inconscio tecnologico secondo Franco Vaccari
Il concetto di “inconscio tecnologico” fu discusso nel 1979 dall’artista concettuale Franco Vaccari in un saggio, oggi famoso, dal titolo “Fotografia e inconscio tecnologico” (Einaudi Editore). Il fotografo, secondo Vaccari, credendo coscientemente di essere creativo, in realtà si sottomette alla macchina la quale lo obbliga ad un comportamento stereotipato. La macchina fotografica sarebbe pertanto un meccanismo capace di imporci un comportamento nascosto dietro l’idea cosciente di fare qualcos’altro. Sorprendentemente però, a Vaccari artista, la fotografia interessa proprio perché non creativa e perché capace di registrare, secondo modalità sue proprie la realtà, restituendocela ad un livello simbolico spia dell’attuale fase evolutiva dell’umanità. Dice Vaccari: “Non è importante che il fotografo sappia vedere, perché la macchina fotografica vede per lui”. Detto in altre parole ciò significa che la macchina fotografica fa quello che fa indipendentemente da cosa pensa chi la utilizza.
2) Se preso alla lettera il concetto di inconscio tecnologico è errato
Il saggio di Vaccari è sicuramente interessante. Innanzitutto perché contrasta un mito, quello della fotografia non creativa, idea in auge da sempre; spesso vissuta come limitazione o come argomento per denigrare il mezzo in quanto non artistico. Questo pregiudizio, che accompagna tutt’oggi la storia del mezzo, sembra ancora duro a morire anche e soprattutto perché si ritiene che la fotografia finalmente si sia liberata, mediante il digitale e la digitalizzazione, da quelle catene che le impedivano di volare nel firmamento della creatività. Il saggio di Vaccari invece, da questo punto di vista, è apprezzabilmente in controtendenza proprio perché richiama l’attenzione sulla macchina senza dare per scontato cosa essa sia e sopratutto senza darne un giudizio pregiudizialmente negativo. Accettandone i limiti, Vaccari, riesce così ad utilizzarla per la produzione d’immagini fornendo al contempo la loro ragion d’essere altre, rispetto alle tradizionali forme di rappresentazione iconica.
Tuttavia il concetto di inconscio se riferito ad una macchina, così come la descrive Vaccari, appare fuorviante, poiché assimila, senza esplicitarlo mai, la macchina al mondo della vita. L’identificare il funzionamento della macchina con il concetto di inconscio tecnologico è spiazzante semplicemente perché tale funzionamento, essendo iper-razionale, è perfettamente descrivibile e conoscibile mentre l’inconscio dell’essere “biologico”, quello di cui parla la psicanalisi, appartiene alla vita ed è irrazionale per definizione, poiché impone delle dinamiche comportamentali governato da forze in contrasto tra loro e con la coscienza.
3) L’inconscio che ha in mente Vaccari è mutuato da quello psicanalitico ma quello psicanalitico si riferisce ad un essere biologico, al mondo della vita
Il concetto psicanalitico di inconscio da cui Vaccari mutua il suo inconscio tecnologico, si riferisce pertanto, anche nella versione lacaniana fatta propria, al mondo della vita e non ad un oggetto meccanico, il quale, almeno nella forma della macchina fotografica, ne costituisce un’alterità assoluta. L’inconscio, infatti, ha un senso esplicativo di certe dinamiche solo se ha come controparte una spinta capace di razionalizzare gli impulsi istintuali; che fornendo alla coscienza una spiegazione errata dei propri moventi, va a generare il sintomo nevrotico. Una macchina pertanto non può avere un inconscio semplicemente perché non ha né una vita istintuale, né la capacità razionale conscia per crearsi un’idea dei propri moventi. Una macchina non può dire io sono. Detto bruscamente: perché la macchina è morta.
4) Parlare di inconscio tecnologico è assimilare surrettiziamente un oggetto morto, la macchina, ad un essere vivente: l’uomo
Ora, appare chiaro che se la macchina fotografica potesse avere un inconscio non sarebbe una macchina ma un essere vivente con credenze che utilizzate razionalmente, come avviene nell’uomo secondo la psicanalisi, andrebbero a costituire il necessario pendant della vita istintuale. Anzi la macchina sarebbe pertanto, da questo punto di vista, umana, visto che non sappiamo nemmeno se gli animali possono essere nevrotici o capaci di pensiero cosciente. Si potrebbe quindi sospettare l’esistenza di un “inconscio tecnologico” solo se la macchina fosse fornita della capacità di opporsi all’uso che ne vogliamo fare, mediante impulsi non ascrivibili alla sua struttura razionale. Proprio come avviene nel film di fantascienza 2001 Odissea nello Spazio ad opera del compuer HAL 9000. Forse, però, nemmeno ciò basterebbe. Gli animali sanno certamente opporsi o ribellarsi al volere dell’uomo e tuttavia non sappiamo se le loro azioni sono governate da un volere cosciente. In realtà quando la macchina si oppone al nostro volere noi la diciamo guasta e la ripariamo agendo sulla sua struttura razionale, cioè sul suo essere fatta così. In un certo senso facciamo quello che da sempre la psichiatria tenta di fare per curare la disfunzione mentale, con la sola differenza che riparare la macchina è possibile proprio perché non è fornita di una struttura fisiologica vivente (creata dalla natura) di enorme complicazione.
5) La macchina in quanto morta non può nulla se correttamente usata, il definirla inconscio tecnologico è in Vaccari pura metafora funzionale ad una poetica
Da quanto detto ne deriva, pertanto, che la macchina, contrariamente a quanto ritiene Vaccari, non può ingannarci e non può imporci nulla se utilizzata come si deve. In altre parole ciò significa che se il fotografo crede di essere creativo con la macchina fotografica in mano la colpa di ciò è da imputare solo alla sua ignoranza. D’altra parte poi, se così non fosse, tutto il lavoro artistico “concettuale” di Vaccari non sarebbe comprensibile poiché ci sarebbe un fondo irrazionale, da ricercare nella macchina, che sfuggirebbe necessariamente. La scelta di Vaccari di porre quindi la macchina come uno sguardo altro sul mondo, capace di assoluta autonomia è sicuramente interessate come dichiarazione di poetica ma poco credibile filosoficamente, se fondata sul concetto di inconscio.
Si potrebbe obbiettare che Vaccari intenda con inconscio tecnologico proprio l’uso che inconsapevolmente viene fatto, da parte dei fotografi, della macchina fotografica. Un uso questo tendente ad utilizzarla in modo acritico e quindi stereotipo e legato a false credenze. Il testo di Vaccari certamente contempla questa possibilità di lettura. Tuttavia se ciò costituisse l’essenza del discorso di Vaccari, la sua disamina non si allontanerebbe per nulla da un tipo di ragionamento, come quello ad esempio pragmatista, che sottolinea il risolversi del mezzo nel fine che si vuole raggiungere, fine questo, che comunque lo si concepisca rimane un fine raggiungibile. Nella fattispecie il “fare” fotografia. In realtà Vaccari afferma l’esistenza di un inconscio tecnologico da identificare con la macchina.
Scrive Vaccari: “Al momento dello scatto fotografico intervengono (…) -l’inconscio tecnologico del mezzo, -l’inconscio sociale, -e poi tutti i tipi di inconscio rintracciabili nella persona del fotografo, -buona ultima, ma invadente e rumorosa, c’è anche la motivazione personale cosciente”.
6) L’inconscio psicanalitico non è assimilabile ad un luogo fisico e pertanto non è localizzabile da nessuna parte
Conviene qui discutere ancora per un momento il concetto di inconscio al fine di evidenziare l’aspetto fuorviante che Vaccari ne fa nel suo saggio. Eric Fromm, nel suo libro Marx e Freud (Garzanti, 1968), dopo aver mostrato parallelismi tra i due pensatori, nel capitolo intitolato L’inconscio Sociale, afferma: “Nella terminologia psicanalitica, diventata ormai molto popolare, si parla di “inconscio” come se fosse localizzabile nelle persone, quasi si trattasse della cantina di una casa. (…) L’uso topografico dell’inconscio è stato instaurato dalla tendenza, oggi generale, di pensare in termini di avere (…) Diciamo di avere l’insonnia invece di dire che siamo insonni (…) allo stesso modo di cui abbiamo la macchina, la casa (…)”. From afferma che la terminologia corretta dovrebbe invece sottolineare di essere in un certo stato inconscio di certi moventi, di essere inconsapevoli di certi bisogni istintuali: “Il termine “inconscio” è in affetti una mistificazione (…) Non esiste qualcosa che sia l’inconscio: ci sono solo esperienze di cui siamo consapevoli ed esperienze di cui non siamo consapevoli, cioè, delle quali siamo inconsci”. Ora è evidente che se questa è la terminologia corretta da usare, solo la macchina stessa potrebbe dire di essere o di avere qualcosa, cosa che fino a prova contraria fino ad oggi non può fare. Qui invece molto volgarmente, Vaccari concepisce la macchina come una “cantina di una casa”, come un luogo delimitato che contiene, possiede qualcosa, come la sopra citata citazione afferma esplicitamente. In questo senso la sua affermazione secondo cui l’inconscio tecnologico sarebbe un “inconscio bloccato” non solo rafforza l’interpretazione topografica dell’inconscio ma afferma, sbagliando, che possa darsi inconscio là dove non è possibile dire “io sono”.
7) La macchina in quanto oggetto meccanico costituisce un’alterità assoluta rispetto al biologico
A questo punto è chiaro perché riteniamo che Vaccari sbagli a credere nell’esistenza di un inconscio meccanico: perché tecnologia/mondo inanimato e biologia/mondo della vita sono due antipodi assoluti in un rapporto di filiazione, in cui è il biologico ad aver costruito il tecnologico nella forma della macchina in generale e in particolare della macchina fotografica. Vaccari, in altre parole, pone surrettiziamente sullo stesso piano la tecnologia e la biologia applicando, un concetto descrittivo di una certa dinamica osservabile in un essere biologico (l’uomo) e che la psicanalisi chiama inconscio, alla macchina. Se un giorno esisteranno macchine capaci di simulare o riprodurre comportamenti che riteniamo caratterizzanti il mondo della vita (come la riproduzione sessuata ad esempio), o anche rendersi esse stesse indipendenti dal biologico che le ha create (come tenta di fare HAL 9000 nel citato film quando si accorge che chi lo ha costruito vuole spegnerlo perché fuori controllo) non è possibile ancora dirlo. Quello che possiamo dire invece è che la macchina fotografica non ha un’esistenza sua propria in tal senso. La macchina fotografica è governata da rapporti completamente conoscibili, tant’è che può essere progettata e costruita e poi riparata esattamente nel punto in cui noi la riteniamo mal funzionante rispetto ai nostri scopi. Questa dipendenza della macchina dal mondo della vita non potrà mai probabilmente essere completamente annullata visto che le macchine sono state crete da esseri biologici umani cercando di fargli simulare i propri comportamenti.
8) Macchine e Complesso di Edipo
Forse un giorno però si riuscirà a costruire HAL (Heuristic Algorithmic) 9000, il computer che, come dicevamo, nel film 2001 Odissea nello Spazio si rivolta contro l’equipaggio dell’astronave che deve governare, cercando di imporre un volere suo proprio. Forse ciò, se accadrà, potrà essere interpretato come una sorta di complesso d’Edipo tecnologico mirante a sterminare i padri (gli scienziati) per potersi rendere completamente autonomo, per poter sbagliare senza rendere conto all’autorità e forse ciò costituirà la fine della scienza. Alla fantasia della fantascienza non c’è limite. Rimane però la questione centrale che per poter ipotizzare un fatto del genere, cioè la rivolta delle macchine dotate di un se conscio e inconscio contro i padri biologici che le hanno costruite, è necessario conoscere e descrivere il biologico in un modo che ancora appare lontano, visto e considerato che le macchine in qualche modo sono costruite a nostra immagine e somiglianza. L’essere biologico infatti è caratterizzato, a differenza della macchina, non da una struttura rigida perfettamente razionale ma da un insieme di relazioni adattive continuamente in evoluzione (sia al suo interno che con l’esterno) che ne determinano il suo funzionamento/disfunzione necessarie alla propria sopravvivenza in quanto processi di adattamento continuamente in atto. Ora, credo che non sia del tutto errato ritenere che anche ciò che la psicanalisi descrive come inconscio abbia una funzione di adattamento dell’uomo al suo mondo ambiente.
9) Il biologico è un sistema di relazioni, cioè un ecosistema in cui tutto deve reciprocamente adattarsi
Dopo Darwin sappiamo che il biologico è caratterizzato da queste funzioni adattive che rispecchiano le condizioni in cui si trova a vivere. Konrad Lorenz, nel suo saggio intitolato “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà” dice, nel paragrafo introduttivo intitolato Caratteristiche strutturali e disfunzioni dei sistemi viventi: “L’etologia tratta (…) sia il comportamento animale sia quello umano, come funzione di un sistema che deve la sua esistenza e la sua forma specifica ad un processo storico svoltosi nel corso della filogenesi, dello sviluppo dell’individuo e, nel caso dell’uomo, dell’evoluzione culturale. (…) L’esistenza di funzioni e strutture evolutesi per adattamento è una caratteristica degli esseri viventi; nulla di simile esiste nel mondo inorganico.”
Se ciò che la psicanalisi chiama inconscio ha nell’essere umano una funzione adattiva in senso evoluzionistico qui non vogliamo affermarlo. Ad ogni modo le macchine costruite fino ad oggi, anche quelle più sofisticate sono lontanissime da essere ciò che Lorenz descrive qua sopra. Esse assomigliano più ai sassi che a degli esseri viventi: la macchina fotografica certo non fa eccezione.