Che cos’è l’arte?

Ci sono concetti (che potremmo definire “concetti baule”) la cui latitudine è talmente ampia che ognuno può riempirli di volta in volta del significato che vuole. Oggi il concetto di arte è uno di questi. Sembra che sotto questo concetto si possa pertanto sussumere qualsiasi cosa, la più disparata: dall’arte antica a quella moderna, dal vomito alla merda, dai cadaveri alle installazioni, la musica, la poesia e la fotografia e via discorrendo.  In buona sostanza oggi tutto è arte!

Cercare quindi di rispondere alla domanda su cosa è l’arte appare da subito abbastanza arduo. Se la difficoltà riguardasse solo la concezione che il senso comune ha dell’arte, col suo definire arte tutto ciò che piace soggettivamente, si potrebbe pensare di risolvere il problema precisando meglio quali sono le caratteristiche precipue dell’arte. In realtà a ben vedere non sembra proprio possibile delimitare, circoscrivere, un ambito del fare, conoscere e capire umano in modo da poter giungere ad affermare: l’arte è questo!

Certo si potrebbero citare per contro alcuni filosofi, Hegel in testa, che ritenevano di aver capito cosa è l’arte. Oppure Benedetto Croce con la sua idea che l’arte è  espressione e intuizione. A titolo d’esempio si potrebbe anche considerare il tentativo settecentesco di Batteux di ricondurre le arti ad un “unico principio”, tentativo questo che finisce per escludere dal novero delle arti quelle arti che non hanno carattere di imitazione del vero. Venendo a tempi più recenti Arthur C. Danto, nel suo testo “What Art Is” afferma che per poter distinguere i “Brillo Box” di Warhol da gli originali di cui sarebbero le riproduzioni esatte, è necessario porsi una domanda di tipo ontologico, domanda questa che non può trovare risposta senza una definizione di arte.

Tuttavia si potrebbe altrettanto citare, con Immanuel Kant in prima fila, altri filosofi che hanno ritenuto impossibile, non tanto discorrere di arte, quanto piuttosto di poterlo fare prendendo l’arte di petto dandone un definizione. Anzi si potrebbe portare ad esempio questa impossibilità facendo notare che tutta la filosofia greca ignorava, paradossalmente, cosa noi intendiamo oggi, dopo il secolo dell’Estetica cioè il ‘700, per arte.

Inoltre ci sono spinosissime questioni terminologiche che complicano tutto. Tralasciando il vocabolario kantiano che fa uso del termine estetica in modo speciale ed etimologicamente corretto per venire ai nostri giorni, si pensi ad esempio al fatto che per gli americani Art significa, arte figurativa e che quindi la musica non è per gli americani Art ma appunto Music. La famosa rivista Artforum infatti non tratta di musica ma solo di arte figurativa. Per fare ancora un esempio, il temine tèchne che dal greco antico diviene poi attraverso il latino Ars l’italiano arte rimanda, più che all’arte come la intendiamo oggi, alla tecnica, ad un saper fare, produrre, secondo fini e mediante metodologie atte allo scopo. Per cui in italiano, ad esempio, abbiamo oggi due termini contrapposti nel significato che però derivano molto probabilmente dall’evoluzione di un unico concetto. A queste problematiche Wladyslaw Tatakiewicz ha dedicato un possente studio intitolato ” Storia di sei idee”, un libro questo imprescindibile per chi voglia vedere da vicino com’è stata estremamente variabile la concezione dell’arte in occidente.

C’è poi, da considerare anche, un grandissimo problema di ordine storico: per quanto possa sembrare strano l’arte non è stato un processo di sviluppo coerente da un punto di vista dei suoi fini e della sua concezione. L’arte greca per i greci non esisteva, perché i greci non avevano che un solo modo di concepirla, modo questo che oggi chiameremmo artigianato. Con la cristianità in Europa la stragrande maggioranza delle opre d’arte furono prodotte con intenti religiosi: raffiguravano scene della vita del Cristo e il martirio dei santi, e l’Annunciazione, ad esempio. Ora, non è del tutto infondato, secondo me, ritenere che queste due forme d’arte, quella greca e quella della cristianità europea non abbiano nulla da spartire l’una con l’altra, ma è solo un esempio. D’altra parte nel medio evo alcune discipline che noi oggi chiameremmo arte erano classificate come scienze. Non da ultimo si pensi anche al grande ruolo culturale che il giardino ha avuto nelle varie epoche storiche fino alla grandiosità del parco della reggia di Varsailles.

Non c’è quindi possibilità d’uscita da questo vastissimo territorio disordinato? Oppure esiste una possibile risposta che unifichi queste pratiche sotto una concezione che le accordi alla maniera di Batteux? Forse una via d’uscita potrebbe essere di abbandonare i tentativi classificatori secondo principi, cosa questa ardua da fare perché comunque è quasi impossibile farne a meno, per recuperare il il significato originario del neologismo baumgarteniano di estetica. Liberato il concetto di estetica dal suo riferimento all’arte tipico del senso comune e dal suo significato filosofico di filosofia dell’arte, si spalanca così un ambito legato ai sensi, al sentire, anche e soprattutto in senso fisiologico, che potrebbe costituire la radice prima del nostro bisogno di produrre oggetti capaci di dare una profondità, un senso, al mondo che altrimenti rimarrebbe solo un cumulo di oggetti. In questo senso quindi, ascoltare una musica che ci piace o osservare un dipinto, ad esempio, significherebbe far risuonare in noi il modo con cui noi ci leghiamo, o meglio interfacciamo, con il mondo ambiente, inteso in senso naturalistico e darwinista del termine.

 

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